Martire della Purezza
Tra le troppe notizie di cronaca nera i giornali hanno narrato di un episodio di violenza e di sangue, avvenuto ad Orbassano in provincia di Torino, che si illumina della luce del martirio.
Marisa Porcellana, una fanciulla di tredici anni, ha preferito la morte più straziante piuttosto che macchiare la sua purezza. Ecco come la madre stessa racconta il terribile dramma:
“Come al solito, quel mezzogiorno andai sull’uscio a guardare se Marisa tornava. Aspettavo solo lei per scodellare la minestra. I minuti passavano e lei non arrivava. Alle 12,30 decisi di andare a cercarla. Passando davanti alla “ghiacciaia” udii un lamento: ma non aveva nulla di umano, sembrava quello di una bestia ferita a morte. Lassù ammazzano talvolta i gatti randagi o i topi trovati tra i rifiuti: pensai appunto che una di quelle bestiacce stesse agonizzando. Andai fino in paese dal signor Caracciolo. “Ma Marisa se n ‘è andata da un bei pezzo, alla solita ora”, mi rispose.
Allora cominciai ad aver paura: rifeci il cammino fino alla “ghiacciaia”, mi arrampicai sul sentiero e scoprii la mia povera creatura.
Aveva il volto coperto di sangue, il fazzoletto azzurro, che aveva portato alla Messa quella mattina, era stracciato, le vesti scomposte. Giaceva immobile, respirava affannosamente, rantolando. E il sangue continuava ad uscire dalle sue ferite, sembrava un torrente inarrestabile. “Marisa, Marisa, mi riconosci? Rispondi alla tua mamma” urlai. “Dimmi chi è stato il mostro che ti ha ridotto così. Dimmelo, rispondimi, ti prego. Dimmi che sei ancora viva, che non mi lascerai”.
Urlai come una pazza, stringendo la mia creatura al petto. Venne gente, la portammo all’ospedale. Continuammo a farle trasfusioni di sangue, tutti i donatori di Orbassano si susseguirono al suo capezzale.
Rimase così quattro giorni, con il capo fasciato e l’unico occhio libero dalle bende, spento senza vita. Da tutto quel bianco emergeva soltanto il suo braccino in cui continuavano ad iniettare sangue. Ma non ci fu nulla da fare, non si riebbe, non parlò più. Soltanto alle 6,30 del 4 luglio, dopo una notte straziante, le uscì dalle labbra un lungo rantolo: intuii che voleva dire qualcosa. “Mamma”, mormorò; o così parve a me. Poi reclinò il capo e spirò. Povera, povera e innocente creatura mia”.
Durante il funerale, mentre le campane suonavano a morto, l’assassino, Antonio Francese, ebbe un crollo improvviso e confessò:
“Ero ancora lassù quando vidi arrivare Marisa. Non so che cosa mi prese, un desiderio che non potei controllare. La salutai dall’alto “Guarda cosa ho trovato”, dissi “vieni a vedere”. La aiutai a salire, poi la gettai a terra. Lei gridava e si dibatteva con una forza straordinaria per la sua età. “Lasciami”, urlava, “lasciami andare o lo dirò al parroco”.
La rabbia mi vinse, avevo paura che venisse gente.
“Stai zitta”, mormorai, ma lei continuava ad urlare ed a dibattersi. Allora cercai di strangolarla con il fazzoletto azzurro che aveva in testa, ma dovevo fare più presto. Misi le mie ginocchia sulla sua bocca, per farla tacere, e sentii la sua mandibola spezzarsi. Intanto annaspavo con le mani tra i cespugli, trovai un grosso sasso, la colpii in faccia ed ancora al capo. Quando mi rialzai, aveva il cranio fracassato ed era tutta coperta di sangue. Fuggii, mi cambiai in fretta a casa e andai a lavorare.
Volevo costituirmi, ma pensai ai miei cari: che sarà di loro?”.
La resistenza eroica di Marisa non è un fatto dovuto, semplicemente a un forte naturale pudore ma piuttosto il frutto di una profonda educazione cristiana, fatta di mortificazione costante, di serio lavoro, di frequenza dei Sacramenti.
L’eroismo del perdono cristiano: sulla tomba della piccola martire già è fiorito il primo miracolo: la riconciliazione tra Teresa, la madre della vittima, e Consolata, la moglie dell’assassino. Lo zelante parroco le ha fatte incontrare in canonica il 13 luglio scorso: “Marisa, disse, con il suo martirio ha offerto a tutti noi un esempio nobilissimo di purezza: tocca a voi, ora offrire un esempio di carità e di fede”.
Le due donne si sono gettate l’una tra le braccio dell’altra confondendo le lacrime e i singhiozzi: erano amiche un tempo, lo sarebbero state ancora, nonostante il ricordo incancellabile di quel terribile mezzogiorno di sangue. La mattina seguente di nuovo si sono trovate insieme per una Messa di suffragio. Al termine, la povera Teresa, prendendo in braccio il piccolo Giampiero, l’unico figlio di Consolata, e baciandolo affettuosamente: “Prega per la mia Marisa, ha sussurrato, e per il tuo papa”.
Perfetto ed eroico perdono. Non è il primo miracolo di Marisa?
a cura di d.f.m.